Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo, prima ti guardavo,
ti cercavo tutto, ti desideravo intero.
Oggi non chiedo più né alle mani, né agli occhi, le ultime prove.
Di starmi accanto ti chiedevo prima,
sì, vicino a me, sì, sì, però lì fuori.
E mi accontentavo di sentire che le tue mani mi davano le tue mani,
che ai miei occhi assicuravano presenza.
Quello che ti chiedo adesso è di più,
molto di più, che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicino a me,
dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando la sua vita alla candela.
Come la luce è quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro che non vacilla mai
al tremulo corpo di fiamma che trema.
Com’è la stella, presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto, sereno, del lago.
Quello che ti chiedo è solo che tu sia anima della mia anima,
sangue del mio sangue dentro le vene.
Che tu stia in me come il cuore mio che mai vedrò,
toccherò
e i cui battiti non si stancano mai
di darmi la mia vita fino a quando morirò.
Come lo scheletro, il segreto profondo del mio essere,
che solo mi vedrà la terra,
però che in vita è quello che s’incarica di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno, di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale dell’anima lontana,
eterna presenza.
(P. Salinas)